“31 anni e una pandemia”. Capitolo 27: La pianta-strega

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Giuseppe Turchi

31 anni e una pandemia

 

Parte III
“Perseverare”

27. La pianta-strega

Dato che ci si può ancora spostare all’interno del Comune, ne ho approfittato per fare una camminata. È ridicolo: riprendo a muovermi solo quando vengono imposte delle restrizioni alla mobilità. La scorsa domenica sono persino tornato nel sentiero in cima al paese, quello che ho scoperto durante il primo confinamento. Sono fuori allenamento ma il fiato non è svanito del tutto.

Il cielo è plumbeo come al solito. Tra meno di un’ora verrà buio. L’idea, per una volta, non mi mette tristezza.

Sto riposando ai piedi di una strana pianta, alta e spoglia, che svetta solitaria in mezzo al prato. Sembra una strega che ha per capelli un ammasso di rami sguarniti e per pelle la corteccia rinsecchita che si sfalda tra le mani. Mi ricorda un albero pronto per essere colpito da un fulmine. O l’umanità avvizzita dalla pandemia…

«Cos’è quel sorrisetto beato?»

Penso alle notizie sui vaccini. Pfizer aveva detto che l’efficacia del suo era al 90%. Ora è uscita l’azienda Moderna con 94%, così Pfizer ha rilanciato con 95%. Più che uno studio scientifico sembra una partita di Poker. Intanto le azioni salgono e i proprietari fanno milioni nel giro di poche ore.

«Non c’è sarcasmo sulle tue labbra. Non vuoi dirmi perché sei contento?»

Finalmente ho fatto il sierologico in farmacia, quello riservato al personale della scuola. È risultato totalmente negativo.

«Sei un osso duro, eh? Ma non credo tu stia sorridendo per questo.»

E se ti dicessi che gli studenti hanno cominciato a creare dei ritratti animati per far finta di seguire le lezioni a distanza? Questo ti mette allegria?

«Sì, ma stai ancora evitando il discorso.»

Devo ammettere, cara Pianta, che le apparenze ingannano. Sei così austera e lugubre, eppure mostri un’empatia fuori dal comune. D’accordo, ti dirò cosa mi rasserena.

«Ti ascolto.»

Ieri la collega di Italiano mi ha permesso di fare una lezione sulle idee fiorite nell’Ottocento e che poi sono degenerate nelle due guerre mondiali. Ideali del romanticismo, statalismo, nazionalismo, positivismo, superuomo: queste cose qui. È stata la prima occasione in cui ho potuto fare qualcosa più nelle mie corde. Qualcosa che non fosse prendere appunti e fare schemi.

In un pomeriggio ho preparato un PowerPoint, tenendo conto del fatto che era indirizzato a una classe del tecnico. Credo sia venuto bene. Un buon prodotto divulgativo, diciamo.

Quando è venuto il momento di presentarlo ai ragazzi, però, sono cominciate le prime difficoltà. Non ce n’è stato uno che avesse la telecamera accesa. Ho inframezzato spesso la relazione con delle domande per capire il loro punto di vista, per pungolarli, ma nulla. Solo qualche verso di assenso, qualche frase fatta, in un mare di silenzi imbarazzanti.

Alla fine dell’ora ero sicuro di aver fatto flop. Mi sono dato la colpa per non averli saputi coinvolgere e per aver messo troppa carne al fuoco. “Ho perso lo smalto” mi sono detto.

«Non capisco. Se è andata così, perché sei contento?»

Perché stamattina mi è comparso il messaggio di un alunno che diceva:

prof. devo farle i complimenti per la lezione di ieri, veramente mi è piaciuta tanto anche per l’approccio diverso, purtroppo non sono riuscito a seguirla al massimo per i problemi di connessione che ho qui in casa

«Notevole.»

Mi ha ridato un po’ di carica, e Dio solo sa quanto ne ho bisogno. Per tornare a studiare, ad esempio. Al momento sto leggendo Edgar Morin, ma il libro di storia vegeta sul tavolo.

«Perché?»

Stando sul Sostegno ho come la sensazione di essere poco più che un burocrate. Non mi sento efficace, e quando non mi sento efficace, gli obiettivi perdono senso. È incredibile come le sensazioni del presente finiscano per offuscare tutti i bei momenti vissuti nelle supplenze al liceo di due anni fa. Lì ero contento, ed ero pure costretto a studiare. L’obiettivo ce l’avevo bene in mente. Qui non riesco a esprimermi al massimo.

«Quando te ne viene data la possibilità, sai lasciare un piccolo segno. Quello che all’apparenza sembrava un flop, alla fine è stato una bella esperienza. Forse gli alunni ti chiederanno di fare altre lezioni, chissà…»

Ehi, adesso non esagerare. Ne ho coinvolto uno su dodici. Diciamo che mi godo il momento senza farmi illusioni.

«C’è qualcos’altro che ti rende felice, o sbaglio?»

Non sbagli.

«Me ne vuoi parlare?»

Stamane ho avuto un colloquio con la madre di un alunno con bisogni educativi speciali. Ero molto preoccupato perché, dai primi contatti, erano emerse alcune incomprensioni che avevano portato un po’ di agitazione.

«Temevi di perdere il controllo della situazione?»

Vengo da un periodo di sconforto e nervosismo, quindi sì, temevo di diventare insofferente. Sarebbe stato disastroso, soprattutto per il ragazzo. Che colpe aveva lui? Invece, contro ogni pronostico, il colloquio è stato piacevole.

«Fammi scommettere: avete trovato un punto di contatto.»

Più d’uno. Io e la signora abbiamo parlato per quaranta minuti, il che mi ha permesso di capire meglio i problemi dell’allievo, le sue paure, la sua frustrazione. Io so cosa significa essere “quello con dei problemi”, “quello che è nato male”. Finora avevo sempre creduto di essere l’unico a vivere quell’esperienza. Le persone intorno a me sono tutte “normodotate”.

Le parole della mamma mi hanno aperto una prospettiva su qualcuno che ha provato le mie stesse emozioni. La connessione è stata immediata. Da lì siamo passati a parlare di riforma scolastica, autorevolezza, significato dei voti. Insomma, s’è creato un vero dialogo.

Al termine della chiamata la signora mi ha detto di essere contenta di avermi in classe. È un giudizio certamente prematuro. Io, più che preparare materiale riassuntivo e controllare il comportamento, non faccio. Però mi ha fatto un grandissimo piacere. Spero di poter continuare su questa via.

«Ecco perché è così importante potersi vedere di persona! Gli occhi sanno comprendere gli stati d’animo, la rabbia, il disagio, la fatica, la gioia, l’ottusità, le competenze. Togli la presenza e toglierai tanti significati al messaggio.»

Senza la presenza non puoi andare oltre alle apparenze. Per questo mi scuso con te.

«Come mai?»

Perché ti ho dato della strega quando invece, anziché far del male, ascolti.

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