“31 anni e una pandemia”. Capitolo 13: Flop

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Giuseppe Turchi

31 anni e una pandemia

 

Parte II
“Liberato”

13. Flop

Certo che con quelle striature rossastre sembrate voi quelli infetti.

«Ti sembra il caso di fare dell’umorismo spiccio?»

Ehi, Calanchi, come siamo permalosi oggi! Non penso di fare un torto a qualcosa che non può essere infettato.

«Quello lascialo decidere a noi. Tu, piuttosto. I tuoi passi sono nervosi…»

Non vi sfugge proprio niente.

«Non sei molto lontano…»

L’esito del tampone non è ancora arrivato e io ho capito cosa significa essere un sospettato. Ero d’accordo per passare un tranquillo sabato sera nel cortiletto di amici, quindi ho preferito avvisare di essere a rischio. Un rischio ridotto perché le Igm, che indicano l’infezione in atto, il mio conoscente le ha negative. Non zero, ma comunque negative. In caso contrario non avrei neanche pensato di uscire di casa.

Gli amici mi hanno beatamente detto: “Dai, allora ci vediamo prossimamente”. Eppure lo avevo precisato: all’aperto e distanti! Ma no, hanno preferito annullare tutto, e hanno avuto ragione. Cavolo se hanno avuto ragione! Di questi tempi l’imperativo dovrebbe essere la cautela e loro l’hanno assunta per sé e per quelli che hanno a casa.

«Allora che hai da essere infastidito?»

È questione di percezioni. L’ho presa un po’ sul personale. Ho pensato: “Ehi, non sono un incosciente! Io ho proposto di vederci in sicurezza”. E poi: “Guarda quanto fanno in fretta a dirmi di no!”. Stupide percezioni! A loro non interessa che questi amici non mi abbiano mai abbandonato. Deve essere colpa di un vecchio imprinting che ogni tanto tira qualche colpo di coda.

«Stai facendo lo psicologo da strapazzo.»

Può darsi. Però la tendenza a prendere tutto sul personale è molto diffusa. La gente litiga spesso per delle percezioni sbagliate. Siamo una civiltà piena di paranoie narcisistiche, che sono uno dei motivi per cui l’app Immuni si sta rivelando un flop.

«Spiegati meglio.»

Nessuno vuole fare la figura dell’appestato. Nessuno vuole l’occhio inquisitore degli altri addosso. Nessuno vuole sentirsi dire di no.

«Suvvia, ci saranno anche altri motivi!»

Non lo nego. Quanto sarebbe brutto vedersi arrivare la notifica di pericolo e doversi rinchiudere in casa? La vita è ripartita e un fermo cautelativo sarebbe una vera tortura. Ho anche sentito dire che chi riceve la notifica non avrebbe diritto a fare subito il tampone.  Ai piani alti non hanno considerato che la psiche si ribella all’idea di stare in quarantena quando si sente bene. E se sta bene, vuole sapere se è fuori pericolo. Questa è una pretesa lecita. Non soddisfarla significa tagliare le gambe a Immuni.

«Quindi la colpa è tutta delle persone e della sanità? L’app sarebbe perfetta?»

Credo che Immuni abbia almeno un difetto: non funziona in background. Bisogna tenerla sempre attiva nella sezione app recenti. Così se per sbaglio dai il comando di chiusura generale, Immuni comincia a bombardarti di messaggini tipo “Riattiva l’app! Sei a rischio! Riattiva il Bluetooth”. Dopo un po’ l’utente si stanca e la disinstalla. È matematico.

«Siete veramente una specie pigra e viziata.»

Nel mondo dei software l’usabilità è tutto. La tecnologia non è forse nata per farci fare meno fatica? Questo ci ha reso poco lungimiranti, anche a scapito della nostra salute.

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