Riduzione algoritmica della psiche alla dimensione del consumo

di Samuele Trasforini

Post-verità

Nell’era della post-verità, termine divenuto famoso nel 2016 relativamente alle elezioni americane del 2016 e alla Brexit, la verità è scomparsa dall’orizzonte cognitivo, essa non è altro che una questione secondaria o al massimo un effetto collaterale – il processo comunicativo è piuttosto guidato dalla volontà di conformare le informazioni propagate alle emozioni e sensazioni immediate del pubblico. Ciò non significa affatto che l’informazione propagata è necessariamente falsa, piuttosto che la sua vero-falsità è irrilevante[1]. Nonostante ciò, la pretesa di giungere a una verità è sempre presente e celata nel soggetto, che come Edward Daniels – protagonista del film Shutter Island diretto da Martin Scorsese nel 2010 – nutre la sua mente con ogni informazione falsa che gli viene offerta – finzione il cui scopo è quello di conformare la realtà alle sue credenze.

Il fenomeno delle fake news è strettamente correlato al più ampio contesto della post-verità, basti pensare che durante le elezioni americane la candidatura di Donald Trump è stata ampiamente supportata da notizie di questo tipo: nel 2016 su Facebook sono state condivise 7.6 milioni di volte fake news pro-Clinton (o anti-Trump) e 30.3 milioni di volte fake news pro-Trump (o anti-Clinton)[2]; per quanto non sia possibile affermare un nesso causale tra le informazioni condivise sui social media e l’esito delle elezioni è evidente che vi sia almeno una forte correlazione. La falsità di una notizia non è l’unica condizione che la rende una fake news, è necessaria anche l’intenzionalità della falsità – una notizia falsa è diffusa in modo intenzionale e secondo determinate ragioni. Le fake news sono un fenomeno di post-verità, poiché il loro essere conforme alle credenze, sensazioni e desideri dell’audience eclissa ancora una volta la vero-falsità dell’informazione. Per quanto riguarda invece l’intenzionalità che si cela dietro una fake news, essa è motivata principalmente dalla ragione economica – ovvero generare profitti –, ma anche da motivi ideologici – e dunque pilotare il consenso.

Le fake news sono un problema cognitivo e allo stesso tempo anche sociale – soprattutto se si considera la stretta relazione con il fenomeno delle teorie del complotto. Esempio perfetto della dimensione sociale delle teorie cospirazioniste ci è fornito dall’assalto al Campidoglio degli Stati Uniti d’America del gennaio 2021: buona parte dei manifestanti erano QAnon, ovvero sostenitori di quella teoria del complotto secondo cui vi sarebbe un Deep State colluso con reti di pedofilia globale, sette ebraiche, cabale massoniche e così via, narrazione in cui Hilary Clinton è vista come un membro del Nuovo Ordine Mondiale e Donald Trump come l’unico in grado di opporsi a questo sistema criminale istituzionalizzato. Teoria del complotto che si fa azione violenta, la falsità intenzionale che plasma il reale, le credenze e sensazioni immediate che si esasperano nella sovversione immotivata – o motivata in modo fallace.

Algoritmi di profilazione

Mezzi principali di propagazione delle fake news sono i social media: il 62% degli americani tende a informarsi su queste piattaforme e molto spesso i contenuti consumati non sono pubblicati da illustri testate giornalistiche bensì da siti alquanto controversi.

Con i social media è cambiato radicalmente il modo in cui si accede alle informazioni: coi media classici (televisione, radio, giornali, ecc.) sussiste tra emittente e ricevitori un rapporto di uno a molti, con le moderne piattaforme vi è piuttosto un rapporto di uno a uno; ogni consumatore è infatti allo stesso tempo anche produttore di informazioni – tant’è che l’utente prende il nome di prosumer (concetto che nasce dall’unione di producer e consumer).

I social media implementano algoritmi di profilazione che permettono di mostrare a un utente i contenuti a lui più consoni sulla base dei suoi interessi, a sua volta inferiti dal materiale consumato e da quello prodotto. Se, per esempio, tendo a visionare contenuti riguardanti occhiali da sole, la piattaforma tenderà a mostrarmi maggiormente inserzioni pubblicitarie di aziende che producono occhiali da sole, e molto probabilmente – essendone interessato – cliccherò sulla pubblicità, e perché no magari ne acquisterò un paio. Il chiaro obiettivo di questi algoritmi è di tipo economico: la mia produzione e il mio consumo di contenuti permette alla piattaforma di presentarmi migliori inserzioni pubblicitarie; a inserzioni pubblicitarie più efficienti seguono maggiori profitti per inserzionisti e piattaforma stessa. Non ci sarebbe nulla di male, se non fosse che la nostra esistenza non è costituita dalla sola dimensione del consumo; gli algoritmi di profilazione – il cui chiaro obiettivo è quello di incentivare i consumi – non fanno altro che appiattire l’intero spettro degli interessi umani al solo interesse per la merce.

Cosa succede se un utente, oltre a essere interessato a scarpe e occhiali, si interessa anche di politica, cultura e scienza? Se, relativamente alla dimensione del consumo, la piattaforma offre al soggetto merci che soddisfano il suo desiderio, nel caso di politica, scienza e cultura essa presenta informazioni che sono conformi alle sue credenze politiche, scientifiche e culturali già acquisite. La conseguenza di questo processo consiste nella prigionia del consumatore in camere dell’eco, luoghi informazionali chiusi in cui all’utente sono proposte solo quelle informazioni coerenti con il suo sistema delle credenze[3]; l’informazione circondante l’utente è solo quella più conforme al suo pensiero – pertanto vi è un appiattimento della realtà a una versione individuale di essa. Credo X, consumo solo informazioni che non contraddicono la mia credenza – credo ancora X.

Ciò a cui siamo di fronte è quel sottile filtro ideologico che si interpone tra il pensiero e i fatti e che prende il nome di bias di conferma, ovvero quel processo cognitivo che spinge il soggetto ad accettare solo quelle tesi che sono conformi – e dunque non in contraddizione – con il suo sistema delle credenze, e a rifiutare invece quelle informazioni che sono formalmente incoerenti con esso[4]. Se credo che Hilary Clinton passi le giornate ad abusare di bambini assieme a George Soros e Bill Gates, e pertanto visiono, condivido e produco contenuti conformi a questa credenza, sarò investito – per mezzo dell’algoritmo – da informazioni che confermeranno la mia posizione; in altre parole – credo X, continuo a credere X nonostante i fatti (esclusi a priori).

La verità non solo scompare dall’orizzonte cognitivo, essa si prefigura in modo illusorio, laddove sembra esserci, nella forma della forma logica del sistema di credenze: è vero ciò che non contraddice il contesto, ovvero è vero ciò che è coerente da un punto di vista logico con ciò che già penso – e non ciò che è conforme ai fatti. Secondo questo criterio di verità formale, come suggerisce Moritz Schlick, con l’aiuto della fantasia posso descrivere un mondo fantasioso e grottesco e considerarlo vero – se è rispettato il requisito della coerenza[5].

Interessante è notare l’analogia tra questa problematica e il disturbo psichiatrico del delirio, che è definito come il possesso di una credenza falsa fermamente fissa che non si modifica nemmeno di fronte a una controprova fattuale; i fatti non contano più, la realtà ha cessato di essere una fonte di verità poiché essa risiede solo nella mia versione atomica della realtà.

Meccanismi di questo tipo sono intrinseci a qualsiasi social media prendiamo in considerazione, per il semplice motivo che l’incentivo al consumo è l’obiettivo primario di ogni piattaforma: Facebook e Instagram, per esempio, ci presentano informazioni conformi alle nostre credenze, allo stesso modo PornHub ci presenta contenuti conformi ai nostri desideri libidinici più reconditi. Non solo la dimensione della conoscenza è deviata dal virtuale, è pervertita in un ciclo infinito dall’ordine simbolico anche la sfera della sessualità, e così via.

L’uomo è misura di tutte le cose

La celebre frase di Protagora, «l’uomo è misura di tutte le cose», non è mai stata così attuale; il problema non risiede tanto nel relativismo, quanto invece nel tipo di relativismo: di fronte alla profilazione algoritmica, “uomo” non è più inteso nel senso di “essere umano”, piuttosto viene a prefigurarsi come sinonimo di “utente” – ovvero la realtà è a misura di utente, laddove utente è un’entità atomica e individuale. Il relativismo che si presenta è assoluto.

Il mondo che ci circonda non è reale, è piuttosto una versione meno felice, ma non perciò meno falsa, del mondo di Truman Burbank, il protagonista del film The Truman Show diretto da Peter Wier nel 1998, un micro-mondo illusorio costruito ad hoc per Truman; in ciò consistono i processi di acquisizione e diffusione delle informazioni nell’era della post-verità, ovvero in una immagine del mondo permeata dal bias di conferma, una mappa individuale dell’impero di Jorge Luis Borges.

Quando Jean Baudrillard nel XX secolo denunciava l’effetto standardizzante di ciò che nel suo sistema prese il nome di simulazione[6], ovvero quell’enorme apparato razionalizzante costituito da televisione, cinema, letteratura, cultura, scienza, politica, tecnica, sistema economico ecc., mai si sarebbe immaginato una fuga dalla realtà così radicale; l’immagine che si sostituisce al reale non è più semplicemente un’immagine del reale, di per sé una versione filtrata di quest’ultima, è piuttosto un’immagine individuale che determina il reale come qualcosa di conforme ai nostri processi cognitivi. Non esiste la realtà, ma non esiste neppure una sua immagine: piuttosto ciò che sussiste è un multiverso rappresentazionale, una totalità di immagini individuali che in alcuni punti si intersecano ma che discordano per il resto degli elementi da cui sono costituite. In ciò consiste l’effetto di una riduzione dell’esistenza umana, della complessità della psiche, alla sola dimensione del consumo.

Nel capolavoro del 1988 di John Carpenter, Essi vivono, le immagini – pubblicità, banconote, copertine di riviste, pacchetti di sigarette – celano imperativi consumistici percepibili dall’inconscio, catene virtuali che imprigionano gli esseri umani in un mondo governato dagli alieni, artefici del simulacro; i bias di conferma di cui siamo vittime corrispondono agli alieni e i simulacri corrispondono alla nostra individuale versione del mondo – una versione ideologica che riproduce in un ciclo infinito (come quello del capitale) le nostre individuali credenze acquisite, svincolandole dal loro contenuto rappresentazionale, i fatti. Non è un caso che all’inizio del film il protagonista John Nada sia convinto che con l’impegno e la perseveranza sia possibile raggiungere qualsiasi obiettivo – il classico sogno americano –, e non è di nuovo casuale il fatto che il suo comportamento diventa violento e rivoluzionario nel momento in cui riesce a scorgere la verità per mezzo di occhiali “anti-ideologia”.

Il film di Carpenter ci dice molto sulla natura delle immagini: esse non sono entità neutre, piuttosto sono dotate di significato ideologico – in altre parole, il consumo è esso stesso ideologia.

La verità non esiste – esiste la mia ideologica verità.

 

  1. McIntyre, L. (2018). Post-truth, MIT Press
  2. Allcott, H., & Gentzkow, M. (2017). Social media and fake news in the 2016 election. Journal of Economic Perspectives. American Economic Association. https://doi.org/10.1257/jep.31.2.211
  3. Cinelli, M., de Francisci Morales, G., Galeazzi, A., Quattrociocchi, W., & Starnini, M. (2021). The echo chamber effect on social media. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, 118(9). https://doi.org/10.1073/pnas.2023301118
  4. Del Vicario, M., Scala, A., Caldarelli, G., Stanley, H. E., & Quattrociocchi, W. (2017). Modeling confirmation bias and polarization. Scientific Reports, 7. https://doi.org/10.1038/srep40391
  5. Schlick, M. (2021). Sul fondamento della conoscenza (E. Severino, A cura di). Scholè. (Opera originale pubblicata nel 1934)
  6. Baudrillard, J. (1996). Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà? (G. Piana, Trad.). Raffaello Cortina Editore. (Opera originale pubblicata nel 1995)

 

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