Fra involuzione e perseveranza: la “Fratelli tutti” vista dal Brasile

di Érika Marafon Rodrigues Ciacchi e Andrea Ciacchi*

Le radici brasiliane dell’enciclica

Per un osservatore italiano (ma anche, probabilmente, per chi guarda da altri luoghi del mondo), il Brasile – a cavallo fra fine del XX e inizio del XXI secolo – ha lanciato segnali e reso visibili molte testimonianze, esperienze e speranze che si riallacciano, direttamente o indirettamente, ai temi, agli ideali e alle preoccupazioni della Fratelli tutti, la più recente enciclica del papa argentino. Ci proponiamo, qui, di passarne in rassegna alcune, chiedendoci poi dove siano rintracciabili, oggi.

Nella sfera politica, pensiamo all’elezione e all’esercizio repubblicano del presidente Lula (2002-2010), preceduti, a macchia di leopardo, ma comunque in maniera significativa, dall’impegno politico-amministrativo a vari livelli di donne e uomini che, legati alle più varie pratiche sociali di questo paese immenso e difficilissimo, hanno impresso diverse svolte profonde alla vita del paese. Prima ancora, però, si deve ricordare la luminosa galassia di movimenti sociali, urbani e rurali, femminili, etnici e intellettuali che aveva svolto un ruolo generativo proprio delle esperienze poi illuminate dai riflettori globali e mediatici. Ma vorremmo anche, un po’ a imitazione dello stesso Bergoglio (che nella lettera del 3 ottobre ha voluto citare il poeta brasiliano Vinicius de Moraes e la sua celebre arte do encontro), fare dei nomi che, in questo quadrante storico, hanno contribuito a fare dell’orizzonte della fratellanza (ossia, qui, della cittadinanza, della giustizia, dell’uguaglianza, della sapienza e di altre virtù forse inattuali) un tema presente nel pensiero e nell’azione di molte e di molti, in Brasile.

Fra questi, forse il più conosciuto di tutti all’estero, l’educatore Paulo Freire, le cui opere principali (Pedagogia degli oppressi, Pedagogia dell’autonomia, Pedagogia della speranza1 e altre ancora) intendono contribuire ad una grande pedagogia della fratellanza: sistemica, complessa e popolare. A seguire, quei nomi, operanti nei campi teologici o ecclesiali, che hanno fatto sentire la loro voce alta e forte. Come il vescovo Helder Câmara (1909-1999), di cui Bergoglio stesso ha citato una frase che qui divenne quasi proverbiale: «Quando io mi occupo dei poveri, dicono di me che sono un santo; ma quando mi domando e domando: ‘Perché tanta povertà?’, mi dicono comunista»; o come un altro vescovo, scomparso solo pochi mesi fa, Pedro Casaldáliga (1928-2020)2, attivo soprattutto in Amazzonia, per e con le popolazioni indigene e tradizionali, o ancora come i frati Leonardo Boff, francescano, e Carlos Alberto Libânio Christo (Frei Betto), domenicano3, e un altro vescovo, poi anche cardinale, Paulo Evaristo Arns (1921-2016), ma anche il teologo presbiteriano e psicanalista Rubem Alves (1933-2014)4 – tutti, in forme diverse, impegnati non solo nella difesa dei diritti umani, ma anche e soprattutto nella pratica ‘politica’ affermativa, di liberazione e affrancamento sociale. Si richiamò a tutti questi, alimentandoli a sua volta, anche la vicenda notissima di Chico Mendes, che ci condurrà, fra poco, a collegare questi argomenti alle preoccupazioni contemporanee sulla natura e l’ambiente, ambiti che generano profondi dilemmi nella vicenda brasiliana.

Ma anche in altri campi, come quello artistico, intellettuale e accademico, possiamo rintracciare nomi che, con accenti, stili e scelte diverse, hanno contribuito all’arricchimento delle riflessioni intorno ai temi della fratellanza, dell’uguaglianza e dei diritti – ma anche all’impegno pratico, con gesti non solo simbolici e manifestazioni non solo verbali. Ricordiamo fa questi la filosofa Marilena Chauí5, il professore di letteratura Antonio Candido (1918-2017), la scrittrice Conceição Evaristo, l’antropologo Darcy Ribeiro (1922-1997) e cantautori notissimi in tutto il mondo, come Gilberto Gil, Chico Buarque e Caetano Veloso. Di tutte e tutti loro, una parte ampia del Brasile andava ‘fiera’, fiera del riconoscimento internazionale e dei valori che la loro opera ha reso visibili.

Per non dilungarci troppo e per farci capire meglio: in Brasile, le tradizioni e le traiettorie che hanno permesso di mettere in moto e di dar vita a grandi cambiamenti sociali sono numerose, ricche e diversificate. Esse hanno consentito, fra altre conquiste, la realizzazione di politiche e azioni affermative che, nonostante molte controversie e duri contrasti, hanno iniziato a ridurre i danni provocati da secoli di razzismo, di patrimonialismo e di ogni sorta di violenze. È possibile considerare che, nel periodo che va dalla redemocratização della metà degli anni 80 (ma soprattutto dalla promulgazione della nuova Costituzione del 1988) fino ai primi anni del secondo decennio del nuovo secolo, il Brasile ha gettato le basi per un lento ma deciso (oltre che necessarissimo) riscatto. Non ci sarebbe stata un’espressione politica di questa realtà se non ci fosse stato, prima e intorno, un insieme variegato di esperienze sociali, culturali ed artistiche che i nomi qui menzionati hanno saputo rappresentare e interpretare. Fra loro, rilevantissima e molto illuminata, si deve annoverare la secolare (ma più visibile e più agguerrita negli ultimi quarant’anni) presenza delle popolazioni indigene, non solo della regione amazzonica, che sono testimoni e vittime delle sfide che il rapporto economico e culturale diseguale, occidentale e bianco con l’ambiente e la natura non umana pone a tutti noi.

La svolta sovranista

Papa Francesco viene eletto nel 2013, lo stesso anno in cui, in Brasile, tornano però a rendersi visibili e sonore le espressioni (anche le più violente ed odiose) che Fratelli Tutti ha definito, sinteticamente, ‘le ombre di un mondo chiuso’. Non è difficile, purtroppo, ricondurre alla storia recentissima del Brasile alcuni dei sottotitoli della lettera papale: ‘sogni che vanno in frantumi’, ‘fine della coscienza storica’, senza un progetto per tutti’, ‘diritti umani non sufficientemente universali’, ‘conflitti’, ‘paura’, ‘illusione della comunicazione’, ‘aggressività senza pudore’. Un percorso lastricato di vittime, di soprusi, di abusi di ogni genere. Per chi, come noi, opera professionalmente nel campo dell’educazione e della conoscenza, è paradossalmente più difficile capire come sia stato possibile, in così poco tempo, un cambiamento così forte e violento.

Vale la pena di ricordare, a tal proposito, che quella che qui si chiama extensão (estensione) universitária è molto più di una ‘terza missione’, ma piuttosto uno strumento con il quale milioni di persone costruiscono circoli virtuosi in cui ‘scienze’ e saperi popolari si combinano e si rafforzano vicendevolmente. L’università pubblica brasiliana, completamente gratuita da sempre, ha intrapreso, proprio negli anni che qui consideriamo ‘virtuosi’ (all’inizio del nostro secolo) un percorso di universalizzazione di straordinaria intensità, capace (si è sperato e ancora si spera) di correggere secoli in cui l’accesso agli studi superiori e, quindi, alle professioni più valorizzate, materialmente e simbolicamente, era riservato a un circolo ristrettissimo di giovani. In questo contesto, si sono altresì affermati sempre in questi anni, e sempre con una doppia generazione – popolare e intellettuale, empirica e teoretica – i temi e le pratiche dell’educazione interculturale, che si sono rivolti anche alle tante realtà ‘di frontiera’ (geografiche, territoriali, etniche, epistemologiche ed altro ancora) del paese.

Ebbene, in poco tempo tutto questo sembra essere sparito. Scriviamo pochi giorni dopo la fine calendariale di questo annus horribilis che è stato il 2020, ma non possiamo far finta di non aver visto che i sintomi di queste patologie dell’odio non circolassero da almeno sei o sette anni. Come dicevamo, non è per nulla facile comprendere in profondità, questo contrappasso. Di fatto ci troviamo in un paese che, lentamente e quasi inesorabilmente, si allontana velocemente dalle modalità di convivenza elaborate in maniera partecipativa, in cui l’empatia sembrava essere diventata un valore collettivo, un collante per varie dimensioni della vita civile (da quella politica a quella religiosa, da quella culturale a quelle economiche). In questa difficile fase storica, questo paese avrebbe davvero bisogno di un ‘invito alla speranza’, di una pausa che permetta di ‘pensare e generare un mondo aperto’, come invita l’enciclica.

Una possibile ma ardua via di uscita dal tunnel

Per molti aspetti, l’intero contenuto della Fratelli Tutti appare come una via d’uscita dal tunnel oscuro in cui il paese è piombato. Essa rappresenta una strada possibile da percorrere per trovare un nuovo orizzonte, una vera e propria lista di sfide, compiti e di materiali necessari per ‘promuovere il bene morale’, il ‘valore della solidarietà’, ‘riproporre la funzione sociale della proprietà’, perseguire i ‘diritti dei popoli’. In generale tutta la lettera – e più intensamente i suoi capitoli sesto (‘Dialogo e Amicizia sociale’) e settimo (‘Percorsi di un nuovo incontro’) – mette in luce i nodi della sfida più complessa e di fondo: quella del legame sociale.

Purtroppo, anche se sono passati solo tre mesi dalla sua comparsa, la lettera sembra inascoltata. Essa è ‘illeggibile’ per chi è abituato allo stile dei social? Come nel resto del mondo anche il Brasile è entrato in una scriteriata pseudo-modernità digitale, si è abituato a scrivere e a leggere (quando legge) solo i 280 caratteri di un twitter che, peraltro, si è trasformato in uno dei contenitori globali più pieni di odio. Chi è rimasto capace o desideroso di leggere (magari lentamente) una ‘lettera’ densa di pagine? A chi, dunque, il compito di sintetizzare senza banalizzare, di tradurre senza travisare, di trasmettere senza interferenze questo che, più di un messaggio, è forse un nuovo progetto di nazione?

Non siamo frequentatori di chiese o di circoli cattolici, ma crediamo che spetterebbe in primo luogo alla Conferenza Episcopale brasiliana la pianificazione, anche ‘logistica’, della distribuzione capillare di queste parole. Al papa argentino il Brasile ha sempre guardato con simpatia e ironia, confondendolo scherzosamente con Diego Armando Maradona, riconoscendone però la capacità di parlare in maniera diversa. È questa parola che ora servirebbe al Brasile. È un ascolto urgente, ci sembra, che si rafforza dell’autorità di una voce molto più chiara e profonda dei balbettii e dei cinguettii contemporanei, artificialmente amplificati e trasformati nell’unica fonte possibile di verità. In molti altri ambiti, però, questo compito dovrebbe essere sentito come proprio, opportuno e necessario. Nelle università, per esempio, potremmo e dovremmo continuare a pronunciare la parola forte della critica: promuovere il discernimento, la distinzione, la ragione. È un compito arduo, che si oppone a una sorta di laissez-faire anticivico che si avvale proprio del balbettio e del cinguettio.

Purtroppo molti dei nomi menzionati all’inizio di questo testo sono morti, molti sono stati assassinati (come dimenticare Marielle Franco e le tante persone come lei cadute in questi anni?) e dei loro cadaveri si fa scempio. Altri ancora si sono ridotti al silenzio, spesso per loro decisione: anche questo non è facile da capire.

È quindi questo, nel presente, il compito più urgente e importante da affrontare, da parte di quelli che, come noi, sono agenti del conoscere e del capire, ovvero ‘intellettuali’, docenti, ricercatori. Le dimensioni e il peso di quello che opprime l’anima di tanti sono così considerevoli che, prima di dedicarsi a contrastarlo, occorre uno sforzo estremo di comprensione, di comprensione dell’altro, quando pensiamo che questo ‘altro’ è ancora e dovrà ancora essere un ‘simile’, o addirittura un fratello. Riannodare i fili del tessuto sociale dovrà essere la meta più avanzata, ma non sarà ottenuta senza questo paziente sfilare di osservazioni minute, spesso dolorose ma necessarie. In questo passaggio, il dialogo non sarà certo l’ultimo né il meno utile degli strumenti.

*Érika Marafon Rodrigues Ciacchi e Andrea Ciacchi sono docenti all’Università Federale dell’Integrazione Latino-Americana (Foz do Iguaçu, Brasile). Lei di Salute Collettiva, lui di Antropologia.

1 Tutte disponibili in traduzione italiana recente, delle Edizioni del Gruppo Abele.

2 Di cui in italiano si può leggere Solo i sandali e il Vangelo (Edizioni Dehoniane, 2016).

3 Di entrambi esiste ampia disponibilità di testi, in italiano.

4 Di cui almeno Pedagogia del desiderio. Bellezza ed eresia nell’esperienza educativa (Edizioni Dehoniane, 2015) è ampiamente disponibile in Italia.

5 La sua unica opera tradotta in italiano è dedicata a Spinoza e la politica (Ghibli, 2006).

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