Nell’ascolto di antiche lentezze (Angelus Novus 2020)

di Sergio Manghi

Una voce imponente, senza parola

ci dice ora di stare a casa, come bambini

che l’hanno fatta grossa, senza sapere cosa,

e non avranno baci, non saranno abbracciati.

Ognuno dentro una frenata

che ci riporta indietro, forse nelle lentezze

delle antiche antenate, delle madri.

(Da Nove marzo, di Mariangela Gualtieri)

E così, la frenata imposta dal Virus riporta anche noi, carovana dell’Angelus Novus 2020 avviata appena ieri, alle antiche, dimenticate lentezze. Non che stessimo correndo, anzi: proprio assumendo l’icona creata un secolo fa da Paul Klee, resa celebre da Walter Benjamin, come punto di partenza, e tentando di risintonizzarci con quell’attimo sospeso tra passato e futuro che occhieggia vivo nello sguardo dell’angelo, era di nuove lentezze, lentezze del pensiero e dell’incontro, che andavamo in cerca. Persuasi che da troppo tempo, troppo freneticamente si stesse abitando la città – il pianeta, la vita. Troppo in caccia di risposte di pronto uso, vuote di quel saper stare nella domanda che fa la differenza tra pensare e credere di star pensando (Per imparare a pensare, scrive Elias Canetti, bisogna smettere di darsi da fare).

Avevamo deciso di provarci, nella primavera scorsa, proponendo a svariate persone della città, volutamente eterogenee per biografia, esperienze e competenze, di “fare carovana” con noi. Persuasi, noi, e loro con noi, sapevamo, che non solo le eccessive frenesie ammalassero l’abitare la città, ma anche, e insieme, le frammentazioni dei saperi, delle pratiche e dei legami sociali.

Questione immediatamente politica, ci dicevamo, e da lì siamo partiti. Iniziando a esplorare tre percorsi interconnessi dell’abitare la città – Clima, Salute, Civiltà (link). Dapprima per piccoli gruppi, poi in ampie Conversazioni comuni. Intrecciando linguaggi scientifici (naturalistici e di scienze sociali), musicali e cinematografici. Per alimentare nel confronto e nelle reciprocità dell’ascolto il comune sentirsi una carovana in cammino, e progettare, infine, azioni da situare nello spazio pubblico della città.

Le ordinanze pubbliche per l’emergenza sanitaria hanno interrotto il nostro cammino – ospiti riconoscenti della neonata bella sede della Casa del Quartiere Oltretorrente Villa Ester – mentre stavamo preparando la penultima delle cinque tappe in calendario: la Conversazione intorno alla parola Civiltà,  prevista per il 17 marzo. E non abbiamo potuto fare altro, a quel punto, che rinviare a data da destinarsi il completamento del “ciclo” Angelus Novus 2020 e l’ideazione degli interventi.

Questo il filo della nostra storia, in breve, fin qui.

Ben altre, ora, e ben più antiche di quelle che avevamo iniziato a esplorare, e tentar di praticare, sono le lentezze che i versi bellissimi di Mariangela Gualtieri ci aiuta a cogliere. Lentezze di colpo al comando – non l’avremmo davvero mai detto ­– nelle nostre esistenze e coesistenze, ancor prima che nella carovana dell’Angelus Novus 2020.

Non basterà certo pensare a una semplice prosecuzione, a emergenza terminata, del cammino intrapreso. Dovremo saper concepire un qualche nuovo inizio, con nuovi mezzi, nei nuovi contesti, oggi difficilmente pensabili. Poiché è chiaro che questo virus ha il “carisma” proprio dell’Evento, operando un taglio netto tra un prima di Lui e un dopo di Lui. Al pari del capo, appunto carismatico, di Max Weber, esso proclama: Vi è stato detto, ma io vi dico… Ma mentre quel capo dispone della parola, piaccia o no a chi la riceve, per provare a dire quel dopo che immagina di vedere, il crudele mutismo dell’ignoto vivente giunto da lontano ci lascia nell’attesa di parola. Nell’attesa desiderante, di parola. Di quella speciale parola che, in mezzo a infinite altre, sa di immaginazione.  Di immaginazione condivisa.

Da qui, da questo compito nuovo, si tratta di ripartire, fin da ora. In quali modi, non ci è dato sapere già ora, presi come siamo – non diversamente in fondo dal “nostro” Angelo – tra un passato che non passa, seminando rovine ai nostri piedi, e un futuro in cammino che ancora non viene. E tuttavia, rimanendo in ascolto di queste inattese, antiche lentezze nelle quali siamo immersi per la prima volta da tempi immemori, possiamo fin d’ora provare a cercare l’oro che pur fra tante ceneri ci dona questo tempo strano:

E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano.

Forse ci sono doni.

Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo.

(Mariangela Gualtieri)

Sergio Manghi

 

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Una risposta

  1. Piergiorgio Gallicani ha detto:

    “… Ci conoscevamo da molti anni, e la sventura ci aveva colti insieme, ma poco sapevamo l’uno dell’altra. Ci dicemmo allora, nell’ora della decisione, cose che non si dicono fra i vivi. Ci salutammo, e fu breve; ciascuno salutò nell’altro la vita. Non avevamo più paura.”
    Così Primo Levi nel primo capitolo di “Se questo è un uomo”, alla fine delle pagine che raccontano il viaggio verso il lager.
    Tutto considerato, il non detto che c’è in questa frase mi dice decisamente di più che il “tutto andrà bene” dei tanti cartelli (che pure capisco e anche apprezzo) di questi giorni.

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