Sulle cause della pandemia da Coronavirus

di Roberto Favilla – Come tutti abbiamo notato, in questa imprevista, ma non imprevedibile, situazione di emergenza per l’umanità in cui siamo precipitati, la stragrande maggioranza dei commenti sui Massmedia si è preoccupata, come è giusto che sia, più delle nefaste conseguenze che ne potranno derivare che delle cause. Previsioni che vanno dal catastrofico, con perdita di posti di lavoro, oltre che di vite umane, e quindi aumento della povertà, all’ottimistico, tenuto conto ovviamente del costo pagato, per i possibili cambiamenti dei nostri costumi di vita, considerazioni tutte ragionevoli.

Tuttavia poco o niente si è sentito parlare delle possibili cause di questa pandemia, forse perché é ancora prematuro e forse perché é più urgente pensare in questo momento ai rimedi in una corsa contro il tempo, ed è a queste che voglio rivolgermi, per cercare di giustificare la mia osservazione iniziale che l’epidemia  è arrivata imprevista, ma non era imprevedibile ed è per questo che non doveva coglierci così impreparati, come invece è successo.

A mio avviso la prevedibilità doveva essere presa in considerazione per due motivi principali: 1) questa non è la prima pandemia che si è verificata nella storia; 2)   l’inquinamento dell’aria nelle zone colpite.

Il nostro sistema sanitario, sebbene fra i migliori al mondo dal punto di vista qualitativo, non lo è da quello quantitativo, non è in grado di reggere un’onda d’urto così potente come quella che si sta riversando sul nostro paese, soprattutto nelle regioni del sud.

Sappiamo che le epidemie sono causate da mutazioni nel genoma di alcuni microorganismi (batteri e virus, sebbene sia improprio definire microorganismi questi ultimi, in quanto privi di struttura cellulare propria), che ci vengono trasmessi da altri animali, di solito mammiferi perché più simili a noi come metabolismo. Questi eventi (le mutazioni) sono tutt’altro che rari, ma per fortuna solo raramente  patogenici, però basta che un unico batterio o virus mutato in modo patogenico per l’uomo infetti un singolo individuo perché un’intera popolazione ne venga colpita. È quello che é successo con questo ceppo virale appartenente all’ampia famiglia dei coronavirus,  nota da tempo, che già in passato aveva dato origine ad altri ceppi molto patogenici, come quelli della SARS e della MERS. Proprio per queste epidemie pregresse l’umanità avrebbe dovuto agire di anticipo, in particolare in Asia avrebbero dovuto vietare il commercio molto popolare di animali selvatici, ritenuti serbatoi di questi virus. Sembra infatti appurato che il Covid19 abbia avuto origine in uno di questi mercati a Wuhan.

Si potrebbe dire, per analogia, che la mutazione patogenica equivale al batter di ali di una farfalla che scatena un uragano, immagine paradossale usata per evidenziare effetti su ampia scala che potrebbero derivare dalla imprevedibile dinamica di sistemi complessi come sono il clima e la biologia.

Dunque questa è la prima vera causa, di natura biologica. Altre possibili cause della diffusione dell’epidemia sono invece da attribuire al comportamento umano. Fra le tante, una sembra riguardarci da vicino: alcuni studi preliminari della società italiana di medicina ambientale suggeriscono che l’inquinamento potrebbe essere un vettore di diffusione, in quanto le polveri sottili, ovvero le particelle cosiddette PM10 e PM2.5, con diametro medio 10 e 2.5 micrometri, potrebbero favorire l’adesione delle particelle virali molto più piccole. Se così fosse non sarebbe un caso che l’epidemia si sia diffusa inizialmente proprio nella pianura padana che, come è noto, è una delle regioni più inquinate del mondo.

Sebbene non ci siano ancora conferme che esista una stretta correlazione fra questi due parametri, non è irragionevole pensare che l’inquinamento ambientale possa essere quanto meno una concausa della diffusione dell’epidemia. Comunque stiano le cose, é ormai evidente che tutti noi saremo chiamati a rivedere le nostre abitudini di vita e di sviluppo onde evitare possibili future catastrofi.

Roberto Favilla
Già professore di Biologia Molecolare dell’Università di Parma.



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4 risposte

  1. Marco Ingrosso ha detto:

    Caro Roberto, lungi da me voler fare un attacco alla scienza! Le mie erano considerazioni legate al tipo di fenomeni di fronte a cui ci stiamo trovando sempre più di frequente, ossia fenomeni unici, imprevedibili e con nuove combinazioni di elementi. In più, spesso, “fuori controllo”, ossia con esiti fuori misura e difficilmente controllabili, nonostante l’ideologia corrente pensi che la scienza-tecnologia umana è oggi ad un punto tale che può occuparsi in breve tempo di tutte le sfide della contemporaneità. In questo senso giustificavo gli scienziati che hanno sbagliato valutazioni nelle prime fasi di questa epidemia (che pure hanno influito notevolmente sul modo con cui si è affrontata la vicenda non solo da parte della politica, ma anche dell’opinione pubblica). Molti, col senno di poi, rimproverano ciò che si è fatto prima, ma – appunto – «prima» non si conosceva l’andamento del fenomeno, così come si è sviluppato nel suo percorso. In questa tipologia di fenomeni il tempo è un fattore decisivo sia per stabilire le concatenazioni effettive, sia per capire cosa sta succedendo. Non sempre gli esempi precedenti aiutano: in questo caso, mi sembra di capire, la sopravvalutazione avvenuta nel caso H1N1 (2009) ha portato ad un atteggiamento ottimistico che poi non si è dimostrato adeguato.
    La considerazione del tempo e della combinazione di fattori di tipo non conosciuto prima fa sì che diventa “presuntuoso” pensare ancora in termini di controllo e prevedibilità. La scienza solitamente opera sulla ripetitività e sull’accumulo di esperimenti, ma qui ci troviamo di fronte ad evoluzioni che hanno solo similitudini limitate coi casi precedenti. L’«umiltà» poi, che assumevo dall’intervento di Volta, mi sembrava molto assonante a quella invocata da Gregory Bateson, un autore che abbiamo ricordato nella serata sul clima del ciclo Angelus Novus 2020. Infatti egli afferma: «Primo, c’è l’umiltà; e non la propongo come principio morale, sgradito ad un gran numero di persone, ma semplicemente come elemento di una filosofia scientifica. Nel periodo della rivoluzione industriale il disastro più grande fu forse l’enorme aumento dell’arroganza scientifica. […] Ma quell’arrogante filosofia scientifica è ora fuori moda, ed è stata sostituita dalla scoperta che l’uomo è solo una parte di più vasti sistemi e che la parte non può in alcun caso controllare il tutto.» (1976, p. 452) Bateson sperava che il pensiero ecosistemico o “della complessità” fosse in grado, negli anni in cui scriveva, di cambiare la percezione del posto dell’uomo negli ecosistemi globali, ma forse si sbagliava. Le intuizioni di quegli anni hanno cominciato a risvegliare una nuova consapevolezza (ad es. ecologica), ma ancora oggi questa consapevolezza “di essere parte” – e non di essere “controllori di tutto” – non è egemone né veramente incorporata nel pensare comune, ma nemmeno in quello scientifico-disciplinare che continua ad operare a compartimenti stagni e senza quella “saggezza sistemica” che Bateson invocava.
    Venendo invece alla mancanza di dispositivi di protezione, siamo perfettamente d’accordo che è mancata qualunque forma di precauzione: colpa della politica, certamente, ma anche di quei tanti consiglieri economici che predicavano di lasciare al minimo le scorte di magazzino per risparmiare sui costi! In questo senso dico che per il futuro, se si vuole essere meno impreparati, bisognerà ragionare in modi molto differenti, ad es. pensando che ci dobbiamo attrezzare per interventi veloci nel caso si mettano in modo altri fenomeni imprevedibili di questo o di altro genere (terremoti, terrorismo, crisi climatiche, ecc.). Spero che ci sarà spazio per interventi rilevanti in sanità, sulla scuola, sulla ricerca ma in forme che vanno progettate adeguatamente e col concorso di diversi saperi. Sarà un cammino lungo in cui sarà necessario avviare cambi radicali: sempre se questa esperienza resterà una lezione per molti e se ci saranno degli interpreti che ne sapranno fare tesoro!

    Un cordiale saluto!

    Marco

  2. Turchi ha detto:

    REPLICA A MARCO INGROSSO, DI ROBERTO FAVILLA
    Caro Marco, ho letto con attenzione la tua replica al mio scritto “Sulle cause della pandemia da coronavirus”. Fra le molte considerazioni condivisibili, una mi ha lasciato interdetto: l’attacco alla scienza.

    Certo la scienza, come tutte le altre attività umane, non è immune da errori o contraddizioni, ma dire che debba uscire da ” un atteggiamento di presunzione” e “fare un bagno collettivo di umiltà” mi sembra quanto meno inappropriato, soprattutto in questo momento, in cui molti operatori sanitari, nonché molti scienziati stanno cercando di uscirne al meglio quanto prima, i primi addirittura mettendo a repentaglio la propria vita.
    La scienza ha fatto e continua a fare enormi progressi nelle conoscenze mediche e non solo. Il metodo scientifico procede coi piedi di piombo, prima di affermare qualcosa di sicuro, facendo serie verifiche sperimentali.

    Andando alle dichiarazioni di alcuni esperti di epidemiologia e della Società italiana di terapia antiinfettiva, sono vicine a quanto stiamo riscontrando. Infatti gli alti tassi di letalità riportati dai media, sono in larga parte solo apparenti, dal momento che il numero di infettati è verosimilmente molto superiore, di un fattore 5-10, a quello ufficiale. Questo significa che una letalità apparente del 10% corrisponde in realtà ad una effettiva dell’1-2 %, in buon accordo con quanto precedentemente dichiarato dagli esperti.

    Ma comunque non voglio tanto fare l’avvocato difensore di questi signori, che possono anche aver ecceduto di ottimismo, quanto parlare della contagiosità. Questa sembra che sia effettivamente superiore a quella delle precedenti epidemie da coronavirus, SARS e MERS, a noi più vicine nel tempo.

    Questo fatto apre però un altro capitolo, che poco ha a che fare con la scienza, quanto piuttosto con improvvide scelte politiche. C’è da chiedersi infatti perché i nostri governanti, ma direi di quasi tutti i paesi, non abbiano preso in seria considerazione le dichiarazioni dell’OMS dello scorso autunno, successive alle previsioni di una imminente nuova epidemia da coronavirus fatte dai più eminenti studiosi di questi virus, che chiamerei Scienziati con la S maiuscola.

    Ma restando all’Italia, come si può giustificare la mancanza dei più semplici dispositivi sanitari, quali ad esempio le mascherine, e [la scarsità di] le poche unità di terapia intensiva, rispetto ad altri paesi europei, come la Germania (6000 vs 30000), che tante vite avrebbero salvato?

    Questi sono quesiti, cui si dovrebbe dare una risposta, piuttosto che criticare la scienza, che ripeto avrà le sue colpe, ma non certo paragonabili a quelle della politica.

  3. Marco Ingrosso ha detto:

    Gentile Roberto, sicuramente è interessante farsi delle domande sulle cause, anche se vedo che le ricerche fatte a posteriori sulle cause delle precedenti ondate di infezioni pandemiche sono arrivate dopo diversi anni e con gradi variabili di approssimazione.
    Tu dici che l’infezione “non era imprevedibile”, tuttavia ho il timore che anche la scienza, soprattutto quando deve trattare fenomeni differenti fra loro, e quindi in qualche modo unici, e con pochi precedenti sia sottoposta a vaste oscillazioni. E quindi anch’essa, io credo, deve uscire da un atteggiamento di presunzione, come diceva Alessandro Volta in uno degli interventi ospitati in questo blog, e fare un “bagno collettivo di umiltà”. In realtà siamo davanti a fenomeni che sempre più si manifestano in dimensioni e modalità “fuori controllo” (v. mia risposta ad Agnetti e Gallicani del 19/3) e che quindi richiedono una sorta di conversione epistemologica che abbia ben presente il tema del tempo e della complessità.
    Ad esempio meno di due mesi fa (29/1/2020) i nostri maggiori esperti “sul campo” in tema di infezioni influenzali ci rassicuravano così: «Coronavirus, gli esperti: “Niente allarmismi, è meno pericoloso di Sars e Mers.”» A corredo: «La Società Italiana di Terapia Antinfettiva tranquillizza: mortalità al 2%. Per la Sars il dato era del 10% e per Mers del 30%». L’articolo è corredato di dichiarazioni di altri esperti (in prima linea in questi giorni) che dichiarano unanimemente: «Probabilmente non siamo ai livelli di letalità della Sars, forse qualcosa di leggermente maggiore dell’influenza. I morti sono perlopiù anziani o affetti da malattie croniche, la differenza è che per l’influenza abbiamo un vaccino, mentre per questo no». Si può discutere, a distanza di tempo, se queste dichiarazioni sono state utili e appropriate, ma è indubbio che si basassero sui dati esistenti e che quindi potevano essere ragionevoli in quel momento. Tuttavia le cose hanno preso una piega molto diversa agli occhi di chi guarda due mesi dopo (e direi giorno dopo giorno in questi due mesi).
    Anche i precedenti che anche tu evochi non sono certo stati univoci. Ad esempio, per il virus H1N1 circolato nel 2009, una ricercatrice scriveva nel periodo di diffusione: «L’attuale virus epidemico influenzale A/H1N1 è un nuovo sottotipo di virus di influenza umana che contiene geni di virus aviari, suini e umani in una combinazione che non era mai stata osservata prima, in nessuna area del mondo.» Dunque, anche allora ci si trovava di fronte ad un fenomeno complesso mai presentatosi in precedenza. Non solo, ma forse ricorderai le polemiche feroci scoppiate intorno alla vaccinazione di massa. Alcuni dicevano che non serviva, altri che il vaccino era più pericoloso dell’influenza (“suina”). Molti medici non si vaccinarono, mentre molti altri cittadini lo fecero, ma certo non tutti. Sta di fatto che molti giornali, poco tempo dopo, titolarono: «Quanto ci è costato il flop del vaccino» (Repubblica, 10/1/2010). Si addebitò al Governo di aver acquistato 24 ml di dosi al prezzo di 184 ml di euro e sorse una estesa convinzione nell’opinione pubblica che le vaccinazioni servissero a poco o fossero sospette. Probabilmente è vero che il contratto è stato troppo oneroso (e qui c’è da trarne insegnamenti sulle modalità di relazioni con Gig Pharma e altri produttori) e che ci fu una valutazione eccessiva delle necessità. Tuttavia mi spiego perché questa volta si è andati molto più cauti!
    I casi della SARS (2003) e della MERS (2012) per fortuna sono stati circoscritti per tempo mentre il pericolosissimo virus Ebola, che ha avuto una mortalità altissima nelle varie riprese che si sono succedute dal 1976 fino al 2003 (80-90% dei contagiati), è stato contenuto nell’Africa sub-sahariana, per cui si è ritenuto (a ragione?) che le regioni evolute non avrebbero dovuto fare i conti, se non marginalmente, con tale gravissima infezione.
    Anche in questo caso si è valutato che l’infezione fosse partita dai pipistrelli (G. Voghel su “Scienze” del 11/4/2014), ma sempre con animali mediatori (in questo caso scimmie e non solo), così come in Cina, dove non vi è un contatto diretto con questi animali, ma solo mediato da altri “portatori sani”. E qui veniamo alle affermazioni che molti ripetono: “basta vietare la commercializzazione di tali animali”. Evidentemente le cose non sono così semplici: in primo luogo le aree rurali e ai confini di grandi aree selvagge sono ancora molto estese. Ad esempio in Cina almeno 2/3 della popolazione vive in tali aree (800 ml e più di persone), lo stesso in Africa, in parte anche in America Latina, Indonesia, ecc.. In tali aree i costumi e la cultura di sopravvivenza evidentemente sono molto diverse e ci vorrà del tempo per cambiarla. Il rischio di fare dei disastri ecologici e culturali potrebbe essere molto elevato.
    Quali sono le mie conclusioni? che bisognerebbe fare molta più ricerca sia nei campi delle influenze globali, sia nei campi dell’antropologia e sociologia applicate nelle diverse situazioni sul campo, contemperando aspetti ecologici, culturali e di investimento sociale adeguato nelle vaste aree rurali e “marginali” del mondo. Ma c’è anche un cambio di mentalità ed epistemologia da attuare all’interno di molti ambienti scientifici e non solo.
    Rispetto alla mentalità comune odierna, che aveva messo in dubbio il valore delle competenze, c’è da fare una bella svolta, ma anche all’interno degli ambienti scientifici ci sono dei ripensamenti di fondo che questa “lezione”, a ben vedere, rende necessari!

    Marco Ingrosso, 25 marzo 2020

  4. Riccardo Tedeschi ha detto:

    Sono perfettamente in sintonia con quanto scritto da Roberto Favilla, forse non si poteva sintetizzare meglio la situazione.
    In particolare ho apprezzato la chiusa della nota che ci indica la necessità di un cambiamento non più procrastinabile dell’attuale sistema socio-economico.

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