I muri simbolo di esclusione o di inclusione forzata

di Francesco Gianola Bazzini

 

Ancora sui Diritti dell’Uomo e sulle sue attuali implicazioni

L’articolo di Samuele Trasforini sulla Dichiarazione Universale dei Diritti Dell’Uomo con i suoi riferimenti testuali a eminenti studiosi della scienza filosofica e sociologica, si pone come un autorevole preambolo ad una analisi di alcuni dei principi fondanti della Dichiarazione stessa, mettendo in evidenza le numerose contraddizioni che il panorama politico internazionale ci pone di fronte e che lo stesso autore sottolinea in riferimento agli eventi del quadro mediorientale. Prima però di tornare a questi avvenimenti vorrei riportare alcuni dei punti salienti di questo importante Atto che vide la luce nel 1948 alla fine del secondo conflitto mondiale nella speranza, andata poi in larga parte delusa, che si aprisse una nuova fase di pacifica convivenza internazionale. I precedenti non invitavano all’ottimismo se si pensa che la nascita della Società delle Nazioni dopo il primo conflitto mondiale, nello spirito dell’autodeterminazione e dell’indipendenza di ogni popolo, era naufragata sulla pretesa anglo-francese di perseverare con una politica colonialista, allargando le reciproche sfere di interesse soprattutto sui territori del defunto Impero Ottomano attraverso l’ipocrita forma dei mandati internazionali. Questo atteggiamento di fatto sminuì e mortificò i principi che erano alla base del neonato Organismo internazionale determinando l’uscita degli Stati Uniti d’America che ne erano i principali promotori.

Nella sua premessa la Dichiarazione del 1948 afferma tra l’altro:

Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo;

Considerato che è indispensabile che i diritti dell’uomo siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione; (significativo questo principio)

La Dichiarazione Universale, i cui principi non possono che essere condivisi, contiene 30 articoli; ne voglio sottolineare alcuni molto attinenti all’attualità:

Articolo 1

Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.

Articolo 13

1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.
2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese.

Articolo 15

1. Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza.
2. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza.

Articolo 17

1. Ogni individuo ha il diritto ad avere una proprietà privata sua personale o in comune con gli altri.
2. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua proprietà.

Articolo 28

Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e la libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati.

A ben guardare tutti questi principi sono spesso trasgrediti se non apertamente violati in diverse parti del mondo. Sicuramente i recenti avvenimenti mediorientali ne mettono in evidenza la loro attualità, ma nel contempo la loro continua disattesa e violazione. E pur condannando senza se e senza ma ogni atto di guerra e di ritorsione in questo drammatico contesto (l’esempio di Gandhi e Mandela sia sempre più il faro che illumina la strada), un atteggiamento bipartisan non è possibile. Vi è un popolo che da 73 anni è stato privato di una propria nazione e quindi di una propria identità: quello palestinese. Forse come sostiene Benny Morris in un suo libro sia palestinesi che israeliani sono vittime della storia e del contesto internazionale[1]. E se ci sono vittime specularmente ci devono essere anche uno o più colpevoli. Le ex potenze coloniali che hanno creato questa situazione illudendo, promettendo o facendo il doppio gioco, siano chiamate alle loro responsabilità e con esse le organizzazioni internazionali con la loro impotenza e nel cui consiglio di sicurezza siedono con diritto di veto alcuni paesi di cui si fatica a comprendere la presenza; ammesso e non concesso che un qualsiasi diritto di veto abbia ancora un senso. Sicuramente però le condizioni dei due popoli sono assai differenti; gli israeliani hanno una nazione con le sue istituzioni, riconosciuta a livello internazionale, il popolo palestinese vive in una condizione di limbo ed in alcune realtà di vera e propria disperata apartheid. Inoltre la continua espansione delle colonie israeliane assume i connotati di una silente pulizia etnica.

Su due principi desidero però soffermarmi in questo mio breve contributo: quello contenuto nell’articolo 13 e quello che in premessa giustifica in un certo qual modo la ribellione.

I muri simbolo di esclusione o di inclusione forzata

Da sempre le diverse civiltà che si sono alternate nella storia hanno realizzato imponenti opere di contenimento a scopo difensivo e per evitare la penetrazione di popoli e di culture diverse o semplicemente per marcare il proprio dominio su un determinato territorio. Si pensi, rimanendo alle più conosciute, al Vallo di Adriano realizzato dai romani nella penisola britannica, alla Grande Muraglia Cinese a freno delle invasioni mongole. Si può affermare sicuramente che la storia dell’umanità è stata da sempre accompagnata dalla realizzazione di muri e di barriere, con la ferma volontà di dividere popoli e culture. In alcune di queste opere di divisione, e veniamo alla modernità, al carattere dell’esclusione si è aggiunto quello dell’inclusione forzata. Ricordavo nel mio commento all’articolo di Samuele Trasforini il sessantesimo anniversario della costruzione del Muro di Berlino che ricorre nell’agosto di quest’anno. Muro costruito per impedire agli abitanti della Germania dell’est di poter uscire dal proprio paese. Il muro che Israele ha realizzato sul confine con la Striscia di Gaza unitamente al blocco navale di questo territorio ha trasformato questo territorio di 362 kmq con quasi due milioni di abitanti nella prigione più affollata della terra con una lugubre somiglianza all’ormai “fu muro di Berlino”. Del resto mi chiedo: non dovrebbe mostrare maggiore sensibilità chi ha visto segnare la propria storia dai muri dei Ghetti e dai reticolati dei campi di concentramento?

Ribellione da tirannia e oppressione

Da ultimo Trasforini fa cenno attraverso il pensiero di autorevoli studiosi al concetto di terrorismo. Non mi addentro in un campo che considero complesso e assai delicato, per non dire minato. Rimango convinto che per affermare i propri diritti l’esempio di personalità come quelle di Gandhi e Mandela rimane la strada più efficace e alla lunga più ricca di risultati. Spesso però, a chi viene dimenticato, non rimane che la via della contrapposizione violenta. Le istituzioni internazionali battano un colpo affinché l’opzione militare non rimanga l’unica possibile. Sia data pari dignità al popolo palestinese.

  1. Benny Morris: Vittime, BUR Milano 2003

 

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Una risposta

  1. Giusy Diquattro ha detto:

    Ringrazio Francesco per avere delineato con sobrieta’ le ipocrisie della comunita’ internazionale, che nel suo silenzio o in posizioni poco incisive lascia spazio solo all’uso della forza. Fino a quando Israele potra’ essere definita avamposto di democrazia nel Vicino Oriente se pratica l’apartheid e si macchia di crimini di guerra? Gli avamposti dovrebbero essere modelli, esercitare leadership anche morali, l’Europa che si fregia di tanti cimeli di civilta’ dove si e’ persa?

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