COSA FA TUO FIGLIO? IL FABBRO
di Antonio Battei – Ubicate in posti poco raggiungibili, in edifici dai locali rabberciati e con aule peraltro insufficienti se tutti partecipassero alle lezioni: ecco come, a volte in Italia, si presenta l‘Università.
Già, la partecipazione: cento iscritti, venti presenti e il libro (o quello che ne rimane) a sostituire il docente cardine della comunicazione, del dibattito libero e franco. Si è deciso non sia più obbligatoria la frequenza e si è creato così, nell’allievo e nell’insegnante, un minus non recuperabile.
Docenti a volte assediati da giovani in cerca di un numero che sia il più possibile vicino al trenta; in bacheca file interminabili di cartoncini fermati da variopinte puntine; studenti che vendono i libri degli esami appena trascorsi. Nemmeno più il piacere della lettura né il piacere di continuare ad accarezzare e conservare quel libro, denso sì di parole ma denso anche di noi stessi: amato odiato ri-amato per sempre, nelle notti insonni.
Orari stretti, mentre l’Università dovrebbe essere aperta dal mattino alla sera, di notte anche. Anche come luogo d’incontro per socializzare, per parlare con i compagni, con gli insegnanti creando così nuovo ascolto, confronto e dibattito tesi a demolire bastioni d’intolleranza, di dogmatismo, di conformismo, del pensiero unico spesso dilagante.
Corsi di laurea moltiplicati all’infinito, come infiniti dottorati di ricerca, il tutto a spostare sempre più in avanti l’ingresso al mondo del lavoro, quando c’è.
Risicati impegni di bilancio senza tener conto e dimenticando che, al pari della pubblica sanità, un’istruzione di ogni grado garantita a tutti è investimento primario indispensabile in un paese libero e democratico.
Diventi l’Università spazio dedicato al libero pensiero, alla riflessione critica, sia modello di ecumenismo laico come la Chiesa che, con Giovanni XXIII, diventa aperta ecumenica. Non so dopo.
E finalmente si dia il giusto valore agli istituti tecnici affinché escano dall’angolo, superino la condizione di serie B rispetto ai licei. Diventino anch’essi licei prodromi di Università a loro dedicate e aperte a tutti ovviamente, ma con uno specifico orientamento alle arti applicate e ai suoi componenti: la stoffa, il ferro, il legno, il vetro, il materiale per l’edilizia, ecc…
Orgogliosi del saper fare bene e famiglie orgogliose dei propri figli: “cosa fa tuo figlio? Il fabbro”.
É deludente e disperato leggere questo articolo, che rispecchia fedelmente la realtà delle università e della scuola in generale. E tutto questo è dovuto a chi, una risposta che mi pare ovvia ad una politica incapace, che tra riforme controriforma, ha ridotto quello che doveva essere una fucina di sapere, di confronto, di dialogo ad un semplice pezzo di carta, ormai senza nessun valore. Chissà se aveva ragione Moravia sostenendo che la scuola serviva solo ad imparare a leggere e scrivere.