Dall’errore antropocentrico alla primavera della speranza? Un appello alla riflessione e all’azione

di Luciano Mazzoni Benoni

Uno sguardo

Dedichiamo almeno uno sguardo sommario al panorama attorno a noi: la pandemia ci consegna un intero pianeta sconvolto, che rivela la radice umana e maschile delle distorsioni intervenute (L’errore antropocentrico, 2019). Questo ‘collasso’, previsto da tanti studiosi della Terra, ci ha risparmiato stavolta la ‘tempesta perfetta’, consentendoci così una ripresa, difficile ma possibile, nella prospettiva della custodia della ‘casa comune’ (Ecologia profonda, 2013). La pandemia potrebbe essere l’ultima chiamata.

Una analogia

Possibile un paragone col secondo dopoguerra: come allora non vi è una comune lettura delle cause della catastrofe. Peggio, anzi: allora la politica era ordinata a obiettivi tendenzialmente comuni e di lungo periodo; mentre oggi resta impaludata in schermaglie mirate a sondaggi di breve periodo. Di più: siamo obbligati a una modalità sociale di ‘distanza’ che potrebbe illuderci di poterci affidare alla nostra salute individuale, indipendentemente dalla salute degli altri e del pianeta.
La smania della ripresa (pur comprensibile) è evidentemente spinta dalla voglia di tornare al più presto alle abitudini consolidate, che ammettono sì qualche correttivo comportamentale (distanza ecc.), ma che esigono il ritorno alle logiche utilitaristiche (ad esempio, i webinar per la ripartenza lavorativa ripropongono le categorie di ‘capitale umano’ e ‘risorse umane’ rivelatrici di quanto si resti impigliati nelle logiche negatrici del valore del lavoro).
Tutti corrono per ripartire: ogni centro di potere (dai piccoli: Israele – Inghilterra) ai grandi (USA – Cina) guarda unicamente al proprio interesse ristretto, ma in realtà senza sapere davvero dove andare! Accanto a questi si situano poi i più sprovveduti, come i paesi arretrati o quelli europei, che – per incapacità o inettitudine – non capiscono nemmeno dove vorrebbero dirigersi (il caso della U.E. è il più clamoroso: sempre in bilico fra sovranismi regressivi e divisivi ed europeismi confusi e inconcludenti).
Sicché non c’è da stupirsi se – al di là degli auspici di un ripensamento collettivo e di una crescita di consapevolezza – scorgiamo come già invece si ripresentino fenomeni come la violenza sulle donne, nei centri urbani (v. le denunce dei Centri anti-violenza) ma anche nelle lande sperdute dell’Amazzonia (v. la nota della Rete Ecclesiale Panamazzonica); nuovamente avanzano fenomeni generati dal nostro egoismo (la tendenza allo scarto segnalata da papa Francesco) e perfino forme di speculazione (commercio dei dispositivi di protezione) e di corruzione (nel primo appalto del Consip per emergenza!).
Con ciò, non voglio smorzare la lettura positiva che tanti stanno tentando rispetto a questa prova: si tratta soltanto di prendere atto della effettiva condizione presente: ancora una volta dipendente dai fattori che determinano la volontà umana, quindi la sua mente, pertanto largamente a rischio.

Una domanda: una primavera della speranza?

Tuttavia è possibile scorgere qua e là primi segnali di ravvedimento, un risveglio delle coscienze, l’uscita dal letargo di tanti intellettuali. Dopo la lunga ‘epoca delle basse aspettative’ e del ‘pensiero debole’ siamo forse alla vigilia di una stagione di prospettive forti?
Lo suggerirebbero la prima Giornata mondiale della Coscienza e la Giornata mondiale della Terra (anche se ignorate dai più: chi ne parla ai giovani?). Occorre rompere gli indugi e farci ‘Militanti della speranza’. Così li chiamava Lucio Lombardo Radice negli anni ’70; così dovremmo predisporci a tornare, per animare questo risveglio, con le sue inevitabili aspre battaglie per fare spazio alle prospettive che la speranza può dischiudere, come un fiore a primavera.
Forse non è un sogno o un mero auspicio. La modernità ci ha messo a disposizione, lungo il suo tribolato itinerario, molteplici conoscenze; la breve stagione della post-modernità ci ha suggerito spunti autocritici e dubbi salutari. Ora l’umanità dispone di tutti i saperi necessari per ripartire, ove lo si voglia. Senza attendere una improbabile nuova ‘teoria generale’, conviene mettersi in azione senza sentirsi al buio. Si tratta semmai di accingersi alla difficile opera di ricongiunzione dei saperi, dotandola di una visione d’insieme che (alla luce dell’ottica sistemica e processuale) impedisca ad economia e politica di rifluire nelle concezioni prevalenti che privilegiano supremazia e dominio, selezione e conflitto. Consapevoli che l’evoluzione ha proceduto soprattutto grazie alla cooperazione (Vittorio Parisi), è possibile riprendere le redini del processo evolutivo e ricondurlo alla “Ecosofia” (Raimon Panikkar).

Una urgenza: servono ospedali da campo

Accanto agli ‘Ospedali-Covid’, che dovranno affiancare i normali nosocomi, urge che sorgano ovunque tanti ‘ospedali da campo’: per assistere i molteplici bisogni umani.
Se papa Francesco considera così la Chiesa cattolica (visione ben poco digerita: quanti sono i prelati approdati a questa nuova logica?), altrettanto dovrebbero fare le altre confessioni e religioni, rinunciando ad essere torri in possesso di verità esclusive, esenti da debiti verso la natura e la storia. E sarebbe stato un cantiere di questa vasta opera l’incontro dei giovani economisti del mondo (atteso ad Assisi in marzo e rinviato a novembre) per ripensare il paradigma economico.
Nei continenti del sottosviluppo si mobilitano i movimenti popolari (non riconosciuti dai governi, ma ascoltati da papa Francesco); anche qui in Europa potrebbero crescere nuove forme di mobilitazione. Nel piccolo ambito della città di Parma (ferita nella sua aspettativa di mostrarsi quale ‘capitale della cultura’) oso ritenere che anche questo BLOG diventi come un piccolo avamposto operante come ‘ospedale da campo’: nel ricoverare i pensanti, nell’accogliere i pensieri, nel conservare le conoscenze, nel preservare le memorie, nel prospettare il futuro. Se non ora, quando?

Un appello

In vista della data fatidica così attesa (4 maggio?), prima di rituffarci nella dinamica consueta che inevitabilmente ci restituirà l’angoscia dei ritmi veloci, nell’altalena quotidiana fra piaceri e sofferenze, restiamo ancora un attimo – grazie al silenzio di cui possiamo avvalerci – sospesi a riflettere: a cosa vogliamo affidare le nostre scelte? Ai valori che ci hanno condotto a questo disastro? Alla vocazione di vivere come specie dominatrice, ma ridotta a produttori-consumatori? All’interesse parziale o alla solidarietà? all’io o alla relazione?
Non sono mancati gli appelli alla ragione e dobbiamo infine deciderci: essere o avere? Pensiero unico o biodiversità – intercultura – pluralismo? Il primato va alla vita o al denaro?

di Luciano Mazzoni Benoni

 

 

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