Cristianesimo e Islam, la complementarità possibile

Francesco Gianola Bazzini

 

Una premessa, prima di qualsiasi osservazione e commento. L’enciclica è rivolta all’umanità tutta, prescinde dal credere o non credere, o in che cosa e in Chi credere, da parte dei destinatari. L’affermazione «a volte, coloro che dicono di non credere possono vivere la volontà di Dio meglio dei credenti» (§. 74), ne evidenzia oltre ogni equivoco l’intento universale. Con questo spirito Papa Francesco entra con forza, attraverso il richiamo al Vangelo, su temi che da tempo sono all’ordine del giorno nel nostro mondo globale, e insieme su quelli di più stretta attualità. Francesco: mai nessun Papa aveva assunto il nome del Santo di Assisi; colui che con il suo modo radicale di interpretare il mondo si era spinto al limite della rottura con la Chiesa Romana, immaginando una Chiesa dei poveri, come prospettata alle origini dai testi evangelici. Gesù, il Vangelo e San Francesco quindi le coordinate per orientare il mondo da parte della cristianità.

Il contenuto dell’Enciclica è da considerarsi anche politico, nella sua più nobile declinazione, con il richiamo esplicito alla laicità. Certo non bisogna fraintendere: la laicità di Francesco non si contrappone allo spirito religioso, ma anzi ne esalta la valenza inclusiva, riconoscendo legittime e ugualmente rispettabili tutte le confessioni. Il richiamo ripetuto all’incontro con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb (§ 5, 29, 136, 192, 285) sottolinea l’attenzione del Pontefice verso questa confessione e la civiltà a cui ha dato origine e mi induce in particolare a proporre una riflessione sul confronto fra Islam e Cristianesimo, sottolineando il grande valore del gesto di questi due importanti capi religiosi, in un tempo che autorevoli studiosi si sono spinti a definire con il drammatico termine ‘scontro di civiltà’.

Quello che vorrei qui sottolineare, in particolare, è il carattere complementare del rapporto tra Cristianesimo e Islam, condividendo quanto affermato dall’orientalista italiano, ebreo e perseguitato dal fascismo, Giorgio Levi della Vida, quasi un secolo fa. Orientalista di quella scuola italiana, che si differenzia dai tratti polemici e divisivi verso l’Islam ed il mondo arabo in particolare, propri di altre scuole di pensiero, come quella francese di Ernest Renan e Silvestre de Sacy1. Scrive infatti Della Vida nel suo saggio Il valore religioso e culturale dell’Islam: «Il concetto di una incompatibilità essenziale tra Islam e Cristianità è stato lungamente, e in parte sta tuttora alla radice del pensiero degli studiosi europei del fenomeno musulmano; soltanto negli ultimi decenni, o addirittura negli ultimi anni, indagini più accurate e più profonde, hanno condotto gli studiosi a modificare radicalmente questo punto di vista e a considerare l’Islam non già come l’antitesi, ma come il completamento della civiltà greco-romano-cristiana. E infatti, a chi ben guardi la concezione meramente dialettica delle relazioni storiche tra Oriente ed Occidente trascura una circostanza capitale: che cioè questi due termini hanno un carattere più che altro convenzionale e che le interferenze, non soltanto esterne ma di intima natura spirituale sono continue tra questi due cicli di civiltà, sicché in realtà conviene parlare di una storia e di una civiltà unica dei popoli mediterranei, contrapponendo a questa, se mai, la storia e la civiltà dell’oriente più remoto, India e Cina, le quali sembrano realmente presentare uno svolgimento ed un aspetto del tutto particolari e indipendenti così nella forma come nella sostanza.»2.

Rimanendo sul piano del confronto fra le civiltà, consapevole che il confine tra tematiche religiose e socio-politiche è assai sottile, ritengo che la complementarità sottolineata da Della Vida abbia un suo fondamento e una sua attualità.

E di questa necessaria complementarità parla esplicitamente Francesco nel paragrafo 136 dell’Enciclica: «Allargando lo sguardo, con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb abbiamo ricordato che il rapporto tra Occidente e Oriente è un’indiscutibile reciproca necessità, che non può essere sostituita e nemmeno trascurata, affinché entrambi possano arricchirsi a vicenda della civiltà dell’altro, attraverso lo scambio e il dialogo delle culture. L’Occidente potrebbe trovare nella civiltà dell’Oriente rimedi per alcune sue malattie spirituali e religiose causate dal dominio del materialismo. E l’Oriente potrebbe trovare nella civiltà dell’Occidente tanti elementi che possono aiutarlo a salvarsi dalla debolezza, dalla divisione, dal conflitto e dal declino scientifico, tecnico e culturale. È importante prestare attenzione alle differenze religiose, culturali e storiche che sono una componente essenziale nella formazione della personalità, della cultura e della civiltà orientale; ed è importante consolidare i diritti umani generali e comuni, per contribuire a garantire una vita dignitosa per tutti gli uomini in Oriente e in Occidente, evitando l’uso della politica della doppia misura».

Questa impostazione delinea una visione dell’incontro interreligioso che va al di là dei dogmi delle singole confessioni e dei dibattiti senza costrutto. Le numerose citazioni dell’incontro con il grande Imam con il quale si è elaborato un comune richiamo di grande significato, contenuta in conclusione dell’enciclica nel §. 285, con i suoi richiami sia evangelici che coranici, recuperano lo spirito del Santo di Assisi, che si recò nel 1219 a Damietta in Egitto per incontrare il Sultano Malik al Kamil, in un momento di duro scontro tra Islam e Cristianità, mentre i crociati erano alle porte di quella città3.

Non è un percorso facile né di breve durata. Si tratta di ritrovare quel filo conduttore, quel denominatore comune che ha accompagnato la nascita e lo sviluppo delle tre religioni abramitiche. Questo sforzo deve avvenire, sottolinea Francesco, senza rinunciare ai rispettivi punti di vista, pena la perdita della propria identità, che renderebbe sterile ogni tipo di confronto. Criterio che vale non solo per la fede, ma anche per tradizioni, cultura, etica e costumi. E su questo le parole di Francesco si fanno vibranti: «I popoli che alienano la propria tradizione e, per mania imitativa, violenza impositiva, imperdonabile negligenza o apatia, tollerano che si strappi loro l’anima, perdono, insieme con la fisionomia spirituale, anche la consistenza morale e, alla fine, l’indipendenza ideologica, economica e politica» (§. 14).

Queste parole mi riportano alle pagine di un sociologo Algerino Malek Bennabi, che imputa molto spesso, oltre che ai colonizzatori, alle stesse popolazioni colonizzate la responsabilità della loro sottomissione, introducendo un concetto che spesso sottolinea nei suoi scritti: «colonizzabilità». I concetti espressi sono molto simili a quelli enunciati nel paragrafo della Fratelli tutti richiamato sopra. Afferma il sociologo algerino, con riferimento critico ai processi di modernizzazione delle società arabe del secolo scorso: «Il movimento modernista in realtà non riflette alcuna precisa dottrina, è indefinibile nei suoi mezzi come nei suoi obiettivi. In realtà cristallizza solo un modo di essere. Il suo percorso culturale è quello che porta l’uomo musulmano ad essere solo il cliente e l’imitatore senza originalità di una civiltà straniera che apre più facilmente le porte dei suoi negozi rispetto a quelle delle sue scuole, dove gli alunni potrebbero imparare a usare il proprio genio personale per i propri fini. Il movimento modernista non è orientato a promuovere idee ed azioni, ma mode e gusti […] Esistono solo due atteggiamenti possibili: attendere che le condizioni si realizzino o prepararle in modo positivo. Il problema capitale, quindi, è che per smettere di essere colonizzati è necessario smettere di essere colonizzabili»4.

Ciò non elimina, naturalmente, le colpe dei colonizzatori, nell’aver cancellato identità e civiltà differenti in nome di una propria superiorità tecnologica, economica e morale. In questo anche la Chiesa e la cristianità hanno avuto alcune responsabilità anche se molto spesso spinte da nobili intenti: basti ricordare a titolo di esempio le civiltà autoctone del Sud America soffocate per mano degli eserciti spagnoli e portoghesi accompagnati dallo zelo missionario cattolico. Ma più in generale si può affermare che, in ragione di una presunta superiorità culturale: portare altrove le proprie conquiste tecnologico-scientifiche o le parole di una fede e di un credo diversi, è apparso spesso come uno stupro, frutto di un’arroganza che suscita reazioni contrarie anche ai più nobili intenti. Osserva in proposito Francesco «Alcuni Paesi forti dal punto di vista economico vengono presentati come modelli culturali per i Paesi poco sviluppati, invece di fare in modo che ognuno cresca con lo stile che gli è peculiare, sviluppando le proprie capacità di innovare a partire dai valori della propria cultura. Questa nostalgia superficiale e triste, che induce a copiare e comprare piuttosto che creare, dà luogo a un’autostima nazionale molto bassa» (§. 51).

Mi sembra a questo punto appropriato concludere con il pensiero dell’autorevole teologo svizzero Hans Küng, autore tra l’altro di un voluminoso trattato sulle tre religioni abramitiche, che trovo molto in linea con lo spirito dell’Enciclica: «Le popolazioni dominanti autoctone ad indirizzo cristiano o laicista, non possono limitarsi a proporre agli altri gruppi religiosi come unico strumento regolatore ‘leggi e ordine’, ma devono almeno dimostrare tolleranza, se non rispetto sulla base – e questo è il nostro desiderio ideale – di una reale e autentica conoscenza dell’altro. Nascerà così una disponibilità al dialogo avente come obiettivo la pacifica convivenza con i musulmani e, nel contempo, verranno respinte con decisione e invalidate definitivamente tutte quelle proposte che cozzano contro l’ordine dello stato di diritto»5.

Francesco Gianola Bazzini, Consigliere Centro interdipartimentale Ricerca Sociale Università di Parma, studioso di Religioni Eresie e di Islam politico moderno.

1 Per una maggiore comprensione dell’Orientalismo Europeo, corrente di pensiero non solo filosofica e letteraria , ma anche artistica, si rimanda al fondamentale testo di Edward Said, Orientalismo, L’immagine europea dell’Oriente, Feltrinelli, Milano 2017.

2Giorgio Levi della Vida, Scritti sull’Islam, Edizioni della Normale, Pisa, 2019, pag. 28.

3 Francesca Ferrari, Francesco Gianola Bazzini, Dialogo e interazione dal passato al presente, in “Pillole di civiltà”, Prospettiva – Associazione culturale Luigi Battei, Parma, febbraio 2020.

4Malek Bennabi, Vocation de l’Islam, ANEP, Algeri, 2006, pagg. 64 e 94.

5Hans Küng, Islam, passato presente e futuro, BUR, Milano, quarta edizione 2015, pag. 749.

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Una risposta

  1. Giusy Diquattro ha detto:

    Ringrazio Francesco Gianola Bazzini per l’occasione che ancora una volta si rinnova sulla rivista per riflettere su alcuni spunti. In questa giornata in cui ricorre la memoria dell’Olocausto, “Fratelli tutti” è un richiamo alla memoria di tutte le vittime, ai torturati della storia e alle narrazioni di negazionismi nei confronti di molti popoli e oppressi di tutte le epoche che ancora non hanno trovato un posto degno per fare sentire con dignità la propria voce. Forse sarà solo un tempo messianico quello in cui i lupi dormiranno con gli agnelli, ma urge tornare a guardarsi con fiducia e affabilità, come una nota novella di Boccaccio suggeriva: messer Torello e il Saladino, l’uno cristiano l’altro musulmano, divennero amici, si riconobbero entrambi nella reciproca ospitalità e magnanimità. Allora forse questa fraternità si prefigura possibile solo a chi saprà davvero aprire i cuori e le menti.

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