Valentini a Parma, un nuovo inizio

 

di Alessandro Bosi

Il 29 dicembre del 2020 a Orvieto è stato presentato, con una trasmissione in streaming, il libro Livio Orazio Valentini100. Opere 1946-2004: figurativo, informale, postquaternario, edito dall’Associazione Livio Orazio Valentini, curato da Massimo Duranti e Andrea Baffoni.

L’evento è stato realizzato per ricordare l’artista umbro, scomparso nel 2008, nel centenario della nascita.

Valentini ebbe con la città di Parma un rapporto intenso e ininterrotto a partire dal 1971.

Nella nostra città, entrò dall’ingresso principale.

 

 

Il Rettore dell’Università, Professor Carlo Bianchi, decise nel 1971 di inaugurare ufficialmente la libreria Studium Parmense di Vicolo Grossardi, diretta dal Dottor Roberto Taverna e sede dell’editrice universitaria presieduta dal Professor Pietro Maria Toesca.

Per l’occasione si decise di allestire la mostra di un artista e l’insigne germanista Professor Ferruccio Masini propose Livio Orazio Valentini, pittore, scultore e, in seguito, ceramista a Orvieto. Per la verità, nessuno lo conosceva, ma l’autorevolezza di Masini[1] e la presentazione che ne fece, non lasciarono alcuno spazio a proposte alternative.

 

 

Nella primavera del 1971 Livio giunse a Parma su un Maggiolino verde e fui io, studente prossimo alla laurea, a riceverlo o, per meglio dire, a rincorrerlo visto che il Maggiolino proseguì oltre il punto convenuto per l’incontro. Quando Valentini mi inquadrò nello specchietto retrovisore si arrestò e scese dall’auto.

Lo raggiunsi, mi presentai, gli strinsi la mano e i suoi occhi non mi lasciarono scampo: fu amore a prima vista.

Lo accompagnai da Toesca che, da eccellente ospite, si sentì in dovere di presentare e accreditare, lo studentello che lo aveva ricevuto. Disse che avrei seguito la sua mostra, che avevo il compito di farla conoscere negli ambienti universitari e in città.

Livio mise la calamita dei suoi occhi nei miei e proclamò: “Allora è lui il più importante di tutti!”

Ne seguì una nutriente risata: le gerarchie erano state rovesciate e una buona dose di ironia servì a far cadere ogni velo accademico nei nostri rapporti.

 

 

La personale di Livio allo Studium Parmense fu un successo di pubblico e di vendite oltre ogni previsione. Per non dire della critica. La “Gazzetta di Parma”, per la firma di Gianni Cavazzini diede il giusto risalto alla mostra e il 22 maggio, dopo la prima settimana, allo Studium si tenne un dibattito che richiamò un pubblico di collezionisti e critici dall’Umbria, dalla Lombardia e dal Veneto. Per quanto non fosse una celebrità, Valentini aveva un nutrito seguito di amici fedeli e competenti, interessati alla sua opera che allo Studium espose introducendo, dopo il periodo delle Germinazioni, quello degli Uccelli del quale, solo due anni dopo, sollecitato a dire che cosa avrebbe chiesto lui stesso a Valentini, disse: “Quand’è che la fai finita con questi ‘Uccelli’?”

Nel dibattito allo Studium, fu subito polemica accesa tra Toesca e Benedetto Burli, critico d’arte e amico di Livio da un quarto di secolo. Luogo del contendere era il carattere ‘rivoluzionario’ della ricerca di Livio, sostenuto da Toesca, o la sua vocazione eminentemente contemplativa, difesa da Burli e, con toni più contenuti, dall’orvietano Enzo Cantillo. Di questa disputa diede un primo riflesso la Rivista “Il tamburo di latta” che esordì nel luglio del 1971. Ma il confronto lievitò soprattutto nel libro che l’editrice Nuovi Quaderni (nata in rotta con lo Studium Parmense) pubblicò nel febbraio del 1973 con scritti di Benedetto Burli, Gianni Cavazzini, Marzio Dall’Acqua, Ferruccio Masini, Elio Mercuri, Pietro Toesca, Livio Orazio Valentini e una mia intervista all’artista.

Fu, quel libro, un’opera importante per almeno tre ragioni che vale la pena richiamare.

Anzitutto per l’accurata e ampia raccolta delle opere prodotte a partire dal 1953. In secondo luogo per il confronto con altri artisti, in particolare Valeriano Trubbiani e Renzo Margonari che Marzio Dall’Acqua, a quei tempi vicedirettore dell’Archivio di Stato, s’incaricò di approfondire con un accurato studio comparativo. E infine per come toglieva – con un’operazione che direi ostetrica – la pittura e l’opera d’arte dal circuito asfittico delle gallerie, dei mercanti e dei critici autorizzati per restituirla a un dibattito in cui prendevano la parola i non addetti ai lavori invocati in quegli anni per poi cadere in disgrazia da quando cominciarono a essere marchiati col titolo infamante di tuttologi.

Certamente il libro e l’incontro con Parma segnò un passaggio nella storia di Livio che da allora non avrebbe più interrotto i rapporti con la nostra città mentre il suo profilo di artista nazionale e internazionale si viene definendo come documenta il libro di Duranti e Baffoni.

 

 

A Parma, negli anni Settanta, Livio espone alla Galleria Correggio, tiene lezioni ai corsi di Toesca e, successivamente, nei miei. Negli anni Ottanta e Novanta le Riviste “Il Margine” (Arci), “StudioNotizie” (Elb) lo intervistano e dedicano inserti alle sue opere. Nel 1988, introdotto da Luigi Boschi, espone una sua opera a Cibus (Barilla).

Da Parma crea le condizione per rapporti con città vicine. Nasce così la personale alla prestigiosa galleria Ghelfi di Verona; espone sue opere al Dipartimento di Psicologia dell’Università di Bologna durante il convegno L’arco e il cesto dopo la guerra. Educare alla sessualità maschile e femminile in tempo di pace del Centro Italiano di Sessuologia che le pubblicherà negli atti 1993. Una sua scultura campeggerà nel successivo convegno Cis La perversione sessuale del 1994.

Se questi sono stati i momenti pubblici della presenza di Valentini a Parma, meritano di essere ricordati i momenti informali e le serate fra amici trascorse nei periodi in cui si fermava a Parma. Gli incontri con Livio erano piacevoli occasioni per riflessioni sull’arte, sulla pittura, sui casi, le tribolazioni e le innovazioni che il trascorrere degli anni ha sempre condito e insaporito.

Non minore è stata l’ospitalità che Livio e la moglie Flora, insegnante di matematica che ottenne riconoscimenti ministeriali per i modi creativi di insegnare e divulgare la disciplina, riservarono ai parmigiani presentando, in ambienti accreditati di Orvieto, i loro libri e i loro studi.

Nel centenario della sua nascita, grazie all’impegno delle tre figlie Cristiana, Silvia e Francesca, all’associazione Livio Orazio Valentini da loro fondata nel 2010, alla sensibilità del Comune di Orvieto è stato possibile organizzare un ciclo di manifestazioni che avrebbe occupato i mesi dell’autunno, se la crisi sanitaria non lo avesse impedito. Ma si tratta solo di un rinvio, come è stato assicurato alla presentazione del libro. Nei prossimi mesi, sarà realizzata, in quattro diversi luoghi della città, una mostra antologica che ci proporrà, come il libro, numerose opere inedite di Livio.

Alessandro Bosi

 

 

 

Livio Orazio Valentini100. Opere 1946-2004: figurativo, informale, postquaternario

 

  1. Autore di importanti saggi critici, traduttore fra i più celebrati di Friedrich Nietzsche, pittore lui stesso, il 15 maggio del 1988, due mesi prima di lasciarci, avrebbe inaugurato gli spazi universitari della ex Caserma Carrozze di viale S.Michele con una personale il cui catalogo fu firmato da Carlo Arturo Quintavalle.

 

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Una risposta

  1. Andrea Ciacchi ha detto:

    Caro Alessandro,
    sono stato presentato a Pietro Toesca (e a Giovanna, Maria, Alexa, Checco e Chantal), verso il 1977 o 1978, dal mio professore di filosofia del liceo (il Socrate, a Roma). Piano piano, mi avvicinai sempre piú a loro, fino a passare lunghi periodi a Pancole. Il ricordo di Valentini è, soprattutto per me, il ricordo del “piombo” e dell’inchiostro, della Marinoni in cui stampammo il libro su Orvieto, città utopica. Grazie per farmi rivivere questi straordinari ricordi! Formidabili quegli anni!

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